Violazione articolo 7 L. 212/2000 e Art. 3 L. 241/90 e 24 Cost. con conseguente richiesta di annullamento dell’avviso di accertamento per palese difetto di motivazione.
L’avviso di accertamento in contestazione risulta affetto da difetto di motivazione e, per tale ragione, deve essere annullato.
In particolare, l’articolo 7 della L. 27/7/2000, n. 212, dispone che tutti gli atti che promanano dall’Amministrazione finanziaria devono essere motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della L. 7/8/1990, n. 241, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione; inoltre, se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.
La ratio dell’obbligo di motivazione risiede in un fondamentale principio di cultura giuridica, rappresentato dall’esigenza di permettere al contribuente l’agevole conoscenza dei contenuti dell’atto impositivo che l’Agenzia delle Entrate pone a suo carico: pertanto, la motivazione assolve la funzione di esternare le ragioni dell’operato dell’Amministrazione finanziaria e di rendere pienamente realizzabile il diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost. articolo 7
Ovviamente, il suddetto obbligo può ritenersi adempiuto solo quando il contribuente sia davvero posto in condizione di valutare la pretesa tributaria nell’an e nel quantum, attraverso l’esposizione dei presupposti (cioè delle circostanze di fatto e di diritto che la giustificano) e del percorso logico-giuridico che ha presieduto e condotto a quel determinato provvedimento (cioè dei motivi in senso stretto).
La motivazione, pertanto, non può mai tradursi in affermazioni generiche, di stile, poiché essa costituisce non solo imprescindibile requisito di legittimità dell’atto impositivo, ma anche strumento di garanzia delle posizioni soggettive di cui è portatore il destinatario, la cui carenza provoca la nullità dell’avviso d’accertamento.
A tali conclusioni è giunta la Suprema Corte, la quale in una recente sentenza ha chiarito che “… l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (Corte di Cassazione, sentenza 20 settembre 2013, n. 21564).
Nel caso di specie, invero, la parte motiva dell’avviso di accertamento appare caratterizzata da affermazioni generiche che impediscono l’effettivo esercizio di difesa del Contribuente.
Difatti l’Ufficio non ha effettuato alcuna descrizione dei fatti contestati né allegato i rilievi degli accertatori, limitandosi semplicemente ad affermare che la carente produzione documentale (senza specificare in che punto era carente!), chiesta alla parte con questionario del 27 giugno 2017 pot. 56169, ha legittimato la rideterminazione induttiva della base imponibile per il periodo compreso tra il 1 gennaio 2013 e il 31 dicembre 2013.
Tale assunto, oltre ad essere insufficiente a fondare la propria pretesa impositiva, non corrisponde al reale accadimento dei fatti.
Se si esamina la documentazione prodotta in seguito all’invito, ci si può agevolmente render conto che tutta la documentazione richiesta è stata correttamente trasmessa all’organo accertatore (vedasi sezione allegati) e, in precedenza, acquisita dalla stessa Guardia di Finanza in fase di ispezione, che ha poi provveduto a trasferirla a quest’ultimo.
articolo 7 https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2000-07-27;212~art7!vig