L’esistenza di un danno alla professionalità del ricorrente scaturisce quale conseguenza diretta della descritta condotta dequalificante dell’azienda ospedaliera, in base agli elementi narrati, nonché alla documentazione prodotta; la mancata pratica costante dell’attività, così come meglio descritta nella narrativa, è di fondamentale importanza sia per il mantenimento del bagaglio di conoscenze che per l’arricchimento del medesimo.
Si rammenta poi, in linea con l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, che il giudice del merito (con apprezzamento di fatto incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato) può desumere l’esistenza del danno professionale o da dequalificazione, di natura non patrimoniale ma economicamente apprezzabile, determinandone l’entità pure in via equitativa, con processo logico – giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa al tipo di professionalità colpita alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr. la recente Cass. Sez. L., sent. n. 19778 del 19/9/2014).
Danno per la lesione dell’immagine e della professionalità, per la subita privazione dell’incarico professionale, per la riduzione dell’attività nella Struttura Semplice di Rianimazione Pediatrica (di cui risulta formalmente tutt’ora Responsabile), per la sottrazione di fatto della responsabilità, della programmazione, del confronto con i suoi colleghi delle strutture ospedaliere e delle consulenze che in precedenza lo stesso forniva ai suoi colleghi ed alla sua equipe, nonché per la contemporanea assegnazione a turni di guardia.
Va detto che nel caso che ci occupa, il ricorrente risulta essere stato completamento allontanato dalle funzioni che svolgeva. Sicché si può legittimamente affermare che il depauperamento del suo bagaglio professionale è pari alla detta sottoutilizzazione e l’individuata quantità del risarcimento danni per equivalente, fissata nel 50% della retribuzione percepita. O comunque equitativamente congrua rispetto al pregiudizio subito.
E comunque, in via subordinata, il danno professionale patito dall’odierno istante può essere risarcito nella “somma maggiore o minore ritenuta equa secondo giustizia”.
Sul punto, un recente arresto della Suprema Corte (Cassazione civile, sez. lav., del 04.04.2017, n. 8717) ha stabilito che: “Nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, qualora la privazione delle mansioni maggiormente caratterizzanti un incarico dirigenziale sia avvenuta a seguito di un provvedimento di riorganizzazione aziendale, viene a determinarsi una revoca implicita dell’incarico dirigenziale, sicché costituiscono profili rilevanti, ai fini del diritto del lavoratore al risarcimento danni non patrimoniale, le ragioni dell’illegittimità del provvedimento, le caratteristiche, la durata e la gravità dell’attuato demansionamento, la frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione e le eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore di lavoro e comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale.”
Nel caso sottoposto all’attenzione del Giudicante, invece, non si tratta di una riorganizzazione aziendale mirata a migliorare i servizi all’utenza ed al tempo stesso all’organizzazione dell’Azienda Sanitaria, ma di una revoca tacita e non motivata dell’incarico conferito al ricorrente, sic et simpliciter.