parte I, articolo 11 della tariffa
Da quanto precisato al punto precedente, emerge che la ricognizione di debito non è fonte di obbligazioni nuove ed autonome, in quanto ha un valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, con il limitato effetto di dispensare colui a cui favore è fatta dall’onere di fornire la prova.
Sembra, quindi, opportuno chiarire cosa si intenda per atto “meramente confermativo” o “ricognitivo” in senso stretto. È così definito un atto, con effetti puramente probatori, che sia inidoneo a costituire, di per sé, un rapporto obbligatorio. Esso, cioè, non modifica la sfera patrimoniale della parte intervenuta in atto, ma si limita a cristallizzare un’obbligazione già esistente; si tratta, in altri termini, di una mera riproduzione di uno stato di fatto, giuridicamente rilevante, incapace di variare ciò che preesiste.
La dichiarazione ricognitiva, quindi, può essere ricompresa tra gli atti non aventi contenuto patrimoniale che non determinano variazioni nella sfera giuridica dei loro autori e dei soggetti che ne sono destinatari.
La figura in esame, allora, è inquadrabile nell’ambito delle dichiarazioni di scienza, mediante le quali il soggetto dichiarante non dispone (per il futuro) di un proprio interesse, ma dà atto di una data situazione già verificatasi, con effetti essenzialmente sul piano probatorio.
Il dichiarante, in particolare, subisce le conseguenze che derivano dall’assunzione di responsabilità in ordine alla veridicità di quanto da lui affermato. Le dichiarazioni di scienza, quindi, non rilevano di per sé autonomamente perché accedono, e quindi presuppongono, una preesistente situazione giuridica rilevante.
Analogamente, con il riconoscimento di debito il debitore non esprime alcuna volontà, ma si limita a certificare una situazione già verificatasi; per questo motivo, qualsiasi aliquota proporzionale dell’imposta di registro applicata all’istituto de quo appare fuori di luogo e si appalesa del tutto ingiustificata.
Questo orientamento trova conforto anche nella disciplina dettata da ricordato art. 20, comma 2 del D.P.R. n. 131/1986 (TUR), secondo il quale l’imposta in esame deve essere “applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
E se è vero, come è vero, che l’atto di ricognizione di debito ha natura meramente processuale, esso deve essere assimilato alle dichiarazioni di scienza le quali, in quanto prive di contenuto patrimoniale, sono soggette ad imposta di registro in misura fissa.
In questi stessi termini, peraltro, si è recentemente espressa anche la giurisprudenza tributaria tanto di merito che di legittimità, proprio sul caso di una scrittura privata contenente un riconoscimento di debito ed una promessa di pagamento posta a sostegno di un decreto ingiuntivo.
In particolare la Commissione tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 3686 del 5 giugno 2014 ha così statuito: “In tal senso, doveroso appare riprendere la distinzione civilistica tra atto dichiarativo e atto ricognitivo, comunque inidoneo a costituire – di per sé – un rapporto obbligatorio, ma capace soltanto di rappresentare un mezzo di prova a favore del destinatario circa l’esistenza dell’obbligazione. Tenuto conto che l’obbligazione nasce dal rapporto fondamentale e che l’effetto della ricognizione è quello processuale dell’inversione dell’onere della prova, “la dichiarazione ricognitiva rientra tra gli atti non aventi contenuto patrimoniale, tra quelli cioè che secondo l’esplicazione fornita in giurisprudenza non determinano variazioni nel patrimonio dei loro autori e in quelli dei soggetti che ne sono destinatari. Essa va quindi assoggettata all’imposta di registro nella misura fissa, ai sensi dell’art. 11, Tariffa, parte I, del citato D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131” TUR. Ed ancora “Va infatti rilevato che nella specie la ricognizione di debito non modifica la sfera patrimoniale della parte intervenuta in atto, ma cristallizza un’obbligazione che già è; si tratta di una mera riproduzione di uno stato di fatto, giuridicamente rilevante, incapace di variare ciò che preesiste. L’ambito del riconoscimento di debito riguarda i soli debiti pregressi e non include quelli futuri o coevi. Risultando privo di contenuto patrimoniale, l’atto ricognitivo fuoriesce dal perimetro delineato dall’art. 9, Tariffa, parte I, allegata al TUR., norma residuale: aliquota del 3% per gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”. Oltre a non comportare l’assunzione di un’obbligazione, la ricognizione di debito è “meno” di un atto dichiarativo (che, comunque, trasforma la realtà giuridica).
Sempre a favore della tesi della natura meramente dichiarativa del riconoscimento del debito e dell’assenza di risvolti patrimoniali, si è espressa anche la Corte di Cassazione. Con sentenza n. 24804 del 21 novembre 2014, infatti, la Corte ha osservato che “la ricognizione di debito e la promessa di pagamento hanno effetto meramente confermativo di un preesistente rapporto obbligatorio, rilevando solamente sul terreno processuale probatorio”.
In ragione di tutto quanto argomentato ed alla luce della giurisprudenza richiamata, il riconoscimento di debito e la promessa di pagamento contenuti nella scrittura privata posta a ragione del decreto ingiuntivo, devono rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 11, Tariffa, parte I, del citato D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e scontare l’imposta di registro in misura fissa.