Diritto Tributario

Illegittimità dell’atto per violazione dell’art. 20 TUR

Falsa applicazione dell’articolo 22 TUR e dell’articolo 9 della tariffa allegata, parte I

Con estremo sforzo interpretativo, si potrebbe pensare che l’Ufficio abbia inteso far rientrare la fattispecie sottoposta al suo esame nell’ambito applicativo dell’articolo 22 del TUR che parla di “atti enunciati in altro atto e posti in essere tra le stesse parti”, per applicare poi l’aliquota proporzionale al 3% prevista dall’articolo 9 della tariffa parte prima allegata al TUR.
Tale ultima disposizione, rubricata “atti soggetti a registrazione in termine fisso. Atti aventi ad oggetto prestazioni patrimoniali” prevede l’applicazione dell’aliquota del 3% agli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale” .
Siffatta interpretazione, come chiarito in precedenza, presta il fianco a numerose critiche.
In primo luogo, perché la locuzione contenuta nell’art. 22, 1 comma, di “atti enunciati in altro atto e posti in essere tra le stesse parti” è chiaramente riferibile agli atti negoziali bilaterali e non alla ricognizione di debito e alla promessa di pagamento, atti, per loro natura, di carattere unilaterale.
In secondo luogo, essa contrasta con l’art. 20 dello stesso D.P.R. n. 131/1986, secondo cui l’imposta di registro “è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, …”. E, come si è detto, la consolidata opinione della dottrina civilistica e della giurisprudenza, è nel senso di ritenere che il riconoscimento del debito non costituisca fonte di obbligazioni e che esso produca soltanto effetti processuali. Da ciò deriva che il riconoscimento del debito non deve essere considerato un negozio giuridico di diritto materiale, atteso che esso non costituisce, non modifica e non estingue l’obbligazione, ma provoca una semplice astrazione processuale, che consiste in un’eccezione al principio per cui chi pretende il riconoscimento di un diritto in giudizio deve provarne la fonte.
In altri termini, in base alla ricostruzione della sua natura civilistica, il riconoscimento del debito deve essere inquadrato nello schema degli atti unilaterali recettizi privi di un qualsiasi contenuto di carattere patrimoniale.
Proprio per tale motivo, ne deve essere esclusa la tassabilità ex art. 9 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86.
Da ultimo, la soluzione dell’applicabilità all’istituto in esame della norma residuale di cui al citato art. 9 della Tariffa, parte I, del TUR non è condivisibile se si analizza l’evoluzione storica della normativa sull’imposta di registro.
Il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 espressamente menzionava al n. 28 della Tariffa, parte I, la ricognizione di debito, assoggettandola all’imposta proporzionale con aliquota dell’1,5%. La stessa norma conteneva una disposizione residuale del seguente tenore: “in genere tutti gli atti e contratti che contengono obbligo di somme e valori”.
La disposizione residuale è contenuta anche nell’art. 9 della Tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, integralmente riprodotto nel citato art. 9 della tariffa allegata al D.P.R. 131/1986. Non è stata, invece, riprodotta la disposizione specifica sulla ricognizione del debito.
Da ciò sembra potersi dedurre che il legislatore fiscale abbia voluto escludere tale fattispecie da quelle sottoposte ad imposizione proporzionale, anche alla luce dell’illustrato principio di cui all’art. 20 dello stesso D.P.R. n. 131 del 1986.